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L'UNITA'
4 agosto 2006
I Giorni di Berlusconi
Furio Colombo

Non ho ancora trovato la «mezza giornata libera» di cui parla Adriano Sofri nel suo articolo «Cattivi pensieri» («Argomenti seccanti, no? Magari qualcuno avrà voglia di affrontarli, se trova mezza giornata libera»). Ma tra i suoi «argomenti seccanti» che io, come sempre, prendo sul serio, ci sono le dieci righe che trascrivo e che non è giusto che scompaiano nel silenzio, neppure in momenti affollati da altri cattivi pensieri, tra cui la guerra.

Ecco il passaggio a cui mi riferisco: «Rispetto al regime, così come specificamente lo si evocava - come si chiama regime il ventennio fascista - il centrodestra era contemporaneamente meno e più».

«Più, quanto alla morbida capacità di modellare ed emulare uno spirito pubblico incattivito, inebetito e furbo. Più, quanto alla più volgare selezione alla rovescia di una classe pubblica e di governo. Meno, infinitamente meno, quanto all'esercizio di un potere persecutorio. Non occorreva coraggio per opporsi al centrodestra, non pendevano la galera o l'esilio o le bastonate sui dissidenti. Si poteva, ed era una vergogna, esser cacciati dal proprio posto alla Rai, e replicare canticchiando "Bella ciao": ma non per salire in montagna, o per sbarcare a Ustica o Ventotene».

Segue una presa in giro di Piero Ricca, unico italiano che abbia osato ricordare ai concittadini una penosa esibizione del capo dei capi, Berlusconi nel processo Sme di Milano, arrivando a dirgli in pubblico «buffone», piccola cosa che nessuno, che viva di lavoro dipendente, in Italia, avrebbe potuto permettersi. Allora, e chissà, forse anche oggi.

Poiché è stato l´Unità il primo e il solo giornale a parlare di regime come definizione del governo Berlusconi, credo di essere chiamato in causa (insieme a Padellaro ero allora il direttore, e né lui né io ci siamo mai pentiti del nostro lavoro) e di avere un dovere di chiarimento e di risposta.

La breve rievocazione di Sofri salta un punto molto importante, il più importante nella esperienza italiana di Berlusconi: il conflitto di interessi. Una presenza pesante, autorevole e quasi totale nel mondo dei media ha fatto di Berlusconi un protagonista privilegiato sulla scena mondiale delle comunicazioni.

L´attivismo d´affari e le partecipazioni rilevanti in molti altri rami cruciali dell´attività economica di un Paese con una ristretta classe dirigente - banche, assicurazioni, editoria, finanza - ha posto Berlusconi in condizioni di trovarsi a un crocevia di convenienti incursioni, notate e non notate, pubbliche e segrete, tutte utili sia al potere che al beneficio (clamoroso, come si ricorderà) delle sue aziende.

L´esercizio del potere politico, in una situazione giuridica che assegna al capo dell´esecutivo assensi, veti, permessi, licenze, e anche influenza di umori su molti settori, essenziali della vita di un Paese, ha creato un privilegio raro, forse unico: un potere pubblico-privato (o una pesante sovrapposizione del privato sul pubblico) senza uguali. Per fare un esempio, sotto Berlusconi un giornalista poteva perdere il lavoro all´istante ma non trovarne un altro.

Trovo strano che Sofri abbia scherzato sull´«andare in montagna o sbarcare a Ventotene». È evidente che l´immensa ricchezza personale ha messo Berlusconi in condizione di eseguire vere e proprie operazioni di acquisto del consenso, di taglio dei canali di comunicazione agli oppositori: ricordate Enzo Biagi? Ricordate le «500 accuse» a l´Unità, allo scopo di isolare questo giornale? Ricordate la forte intimidazione di ogni tentativo di dissenso anche parziale? Ricordate il caso Ferruccio De Bortoli?

Ricordate l´ordine di blocco totale della pubblicità fatto pervenire agli inserzionisti potenziali dell´Unità mediante la frase «testata omicida», pronunciata senza obiezioni di alcuno dei presenti in due diverse e popolarissime serate televisive? Ci sono anche fatti non pubblici però gravi e che è opportuno ricordare, come le pesanti difficoltà create in modo aperto e deliberato nella vita d´affari di alcuni azionisti della nuova Unità.

In questo caso «andare in montagna» significa che chi avrebbe potuto cedere la propria partecipazione in questo giornale non lo ha fatto, chi avrebbe potuto tacere non ha taciuto, firme di primo piano abituate a ben altri compensi hanno offerto all´Unità il loro prestigio intatto per quasi niente, e nessuno dei giornalisti che hanno ridato talento e vita a questo giornale si è lasciato intimidire da scenate pubbliche (comprese le conferenze stampa in cui Berlusconi offriva, incontrastato, giudizi infamanti di uomo potente sui nostri giornalisti).

Stiamo parlando di un dominio mediatico che ha cambiato e cambia ancora la faccia del Paese. Mai, prima, si erano sommati un immenso potere economico, un assoluto controllo politico (data la passiva obbedienza del Parlamento) e la proprietà di diritto o di fatto di quattro quinti dei mezzi di comunicazione di massa.

L´esilio c´è stato, eccome. Consisteva non solo nell´escludere i nemici da ogni accesso professionale a tutte le televisioni (infatti anche quelle non immediatamente controllate si adeguavano) ma anche nell´impedire citazioni e riferimenti ai nomi delle persone messe al bando, e certamente dell´Unità, del suo direttore e del suo condirettore e dei suoi giornalisti. L´Unità era il vero obiettivo perché non ha mollato mai la presa sul cuore del sistema berlusconiano, il conflitto di interessi, un conflitto che viene dall´illegalità e genera illegalità.

Sofri mi potrà dire che la mia è una «reazione sproporzionata». Avrebbe ragione se questa risposta (tutta questa risposta) fosse diretta a lui. Invece - come si dice nelle tavole rotonde - devo dirgli grazie per avere sollevato il problema. Ciò che Sofri ha scritto serve per dedicare questa breve rievocazione di un regime mediatico condotto in modo totalitario e senza alcuna distrazione o tolleranza, a coloro che pensano di invitare il proprietario personale di quel regime alla Festa della Margherita, come se si trattasse di una allegra serata con il noto frequentatore del "Billionaire". C´era qualcosa in più da ricordare di quei giorni. Con l´aiuto di Sofri, abbiamo potuto farlo.





INES TABUSSO