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CORRIERE DELLA SERA
26 marzo 2006
Giochi Trasversali
Francesco Battistini

D’Alema e il dopo-Cavaliere, parte la fantatrattativa
Da Padellaro a Ferrara, spunta il tema dell’intesa.
Travaglio: è inciucio.
Contestabile (FI): ora non si può

ROMA - E poi? Una mano sugli attributi, l’altra a tapparsi la bocca: «Per carità - schiva Matteo Orfini, portavoce di D’Alema -, una domanda del genere a due settimane dal voto? E col capo scaramantico che ho?...». La domanda gira, però. È il boccone finale del Caimano, con l’uscita di scena del Cavaliere fra le molotov e la piazza in rivolta. È l’intervista del presidente ds al berlusconiano Panorama [1], una trattativa sui prigionieri che sa un po’ di resa serbi-Nato nel caffé Europa ’93 di Kumanovo. È l’articolo di fondo in sospetta contemporaneità del Foglio [2] e dell’Unità [3] di ieri, due coccodrilli bell’e pronti sulla morte politica di Berlusconi. Già: se poi Lui perde, che ne facciamo? Il passaggio delle consegne, ha detto Romano Prodi. Ma poi? «Che farà il Caimano?», si chiede Antonio Padellaro sul giornale di Gramsci: «Se l’Unione andrà al governo, non potrà ignorare una parte della nazione così distante e ostile». «Guai ai vinti [4] - scrive il giornale di Giuliano Ferrara, che intervista lo stesso Padellaro [5]-. Se il Cav. perdesse, una legge ulivista gli impedirà di rifarsi». Prove tecniche di trasmissione (dei poteri). Col dietrologico pissi-pissi che dà già in corso i colloqui di pace: beccatevi il blind trust e la nuova legge elettorale, in cambio ecco una Rai privatizzata e il salvacondotto per i prigionieri... L’ex vicepremier Marco Follini prevede un Silvio-Masaniello miliardario? «Non mi cimento in scenari post-elettorali - è cauto l’ex leader Udc -. La via d’uscita, sempre che Berlusconi perda e non ne sono affatto sicuro, non può essere che canonica. In una democrazia con l’alternanza, non esiste la legge del taglione. E non può esserci una trattativa sottobanco tra forze politiche. All’indomani del voto, chiunque vinca, serve un corretto rapporto maggioranza-opposizione».
Le mille balle blu e rosse, secondo la bestia nera (di Berlusconi) Marco Travaglio: «Più che di trattativa, sento già puzza d’inciucio. D’Alema va a dire su Panorama che modificherà la legge sul conflitto d’interessi e poi propone il solito blind trust, il fondo cieco. Ridicolo: il blind trust è il miglior modo per non risolverlo, il conflitto d’interessi! Il fondo cieco funziona se fai auto, non se fai tivù. Berlusconi, devi costringerlo a vendere due delle tre reti e a ritirarsi dalla politica anche se ne tiene una sola. Venda e torni a casa: è questa l’unica trattativa possibile». Ma dopo aver lasciato Palazzo Chigi, dovrebbe lasciare anche la politica? «Certo, il conflitto d’interessi resiste anche se lui sta all’opposizione: un capo della minoranza con tivù e concessionarie di pubblicità e tutto il resto, è sempre più potente d’un Prodi presidente del Consiglio. Per il bene di un’opposizione seria, ci vuole un leader con le mani libere. E per il bene della maggioranza, la sinistra la deve piantare anche lei con l’occupazione sistematica della Rai. Ma su queste cose, D’Alema torna al vecchio vizio dell’inciucio. E non dice niente».
Come dire: si sta trattando davvero. «Dati i toni accesissimi di questa campagna elettorale, non vedrei nessuna trattativa in corso», dubita Domenico Contestabile, senatore uscente di Forza Italia: «E su cosa, poi? Su un conflitto d’interessi che non interessa agl’italiani e che le sinistre, comunque, stavolta non si lasceranno sfuggire? O su una legge elettorale che io ho votato senza troppa convinzione, ma che ha fatto un gran comodo anche alle sinistre? La loro opposizione è durata qualche giorno. Poi hanno capito che in fondo è comodo scegliere in segreteria i candidati, secondo il vecchio sogno togliattiano». Il senatore «Memmo» non crede affatto a un Cavaliere già spacciato, ma legge così i segnali a distanza: «L’intervista, questi articoli... Berlusconi esce di scena solo in caso di grave sconfitta, e questo è molto improbabile. La sinistra invece mette in conto un pareggio, ipotesi che è nei fatti. L’avvertito D’Alema, così, si prepara anche a una mediazione. In caso di pareggio, l’unica cosa da fare sarebbe un governo di coalizione. Un’ipotesi dell’assurdo».
Il pareggio, quanto di peggio. Ma anche sentirsi la vittoria già in tasca... «Metterci a discutere sul daffarsi del dopo è un errore - critica Enrico Morando, ds riformista - e non capisco bene Padellaro: il risultato non è affatto scontato. Certo, il blind trust e un ben organizzato sistema d’incompatibilità, nella legge elettorale, sono le prime cose da fare. C’è anche l’ipotesi d’un referendum, se in Parlamento non si riesce a sistemare la "porcata" di Calderoli. Prima vinciamo, però...». Altra grattatina, la stessa domanda: e poi? «Nel nuovo centrodestra, c’è Berlusconi che ha ormai scelto Tremonti, Formigoni che irrompe, ci sono i disegni frustrati di Fini e Casini. Tocca a loro, dirci che cosa saranno: possono diventare una coalizione ristrutturata o una maionese impazzita. E tutta questa fretta di trattare, non la vedo».





[1]
PANORAMA
30 marzo 2006
SE IL CAVALIERE PERDE DEVE SCEGLIERE FRA POLITICA E TV
BRUSADELLI STEFANO intervista D'ALEMA MASSIMO

www.senato.it/notizie/RassUffStampa/060324/abodh.tif






[2]
IL FOGLIO
25 marzo 2006
L’ultima campagna
Se perdesse il Cav., i vincitori minacciano d’impedire la rivincita. Normale?

Apriamo oggi la prima pagina del
Foglio indagando intorno a un tema
di libertà che sta sotto la pelle di
queste elezioni politiche ma è circondato
da qualche comprensibile pudore
su entrambi i fronti. Per Berlusconi, il
presidente del Consiglio uscente, potrebbe
essere l’ultima campagna elettorale
perché i vincitori, nel caso egli
uscisse sconfitto dalle urne, annunciano
che, per legge, gli impedirebbero di
sopravvivere e cercare la rivalsa. C’è
dunque una grave dissimmetria nella
posizione dei due schieramenti: se vincesse
il Cav., l’opposizione può cercare
la rivincita, l’alternanza, in tutta tranquillità,
salvaguardando la propria identità piena; se
il Cav. invece perdesse, una legge ad personam
varata dalla nuova maggioranza gli
precluderebbe di restare quel che è,
un imprenditore che fa politica o un
leader dell’antipolitica, come preferite.
L’annuncio ormai chiaro, benché pudico
e circospetto, è venuto da Massimo
D’Alema, e non a caso. D’Alema nel ’96
diede il segnale esattamente opposto:
andò a visitare lo studio Fininvest di
Stranamore, incontrò Fedele Confalonieri,
disse che Mediaset era una risorsa
nazionale, legittimò il retroterra imprenditoriale
del candidato della parte
opposta. Vinte le elezioni, fece la Bicamerale
e non fece la legge sul conflitto
di interessi, quella draconiana,
quella che impone di vendere o perire
come soggetto politico all’imprenditore
che è entrato in lizza (anzi, nell’imbarazzo,
l’Ulivo preferì non portare a termine
alcuna legge). Perse le elezioni,
l’Ulivo fu investito dalla grande ondata
giacobina e apocalittica, che chiedeva
conto della mancata ghigliottina. E
dunque ora ha cambiato linea, e promette
o minaccia un provvedimento
che, magari con il consenso di Fini e
Casini, eliminerebbe dalla scena il
competitore. Si dirà: ma Berlusconi
può comunque restare in politica e cercare
la rivincita, basta che venda le sue
aziende e affidi il suo patrimonio a un
blind trust. Ma questo è un sofisma,
perché Berlusconi esiste e vive da tredici
anni nella politica italiana in
quanto è l’imprenditore che fa politica
tutelato dalla legge e dalla Costituzione
che consente espressamente l’accesso
alle cariche a tutti i cittadini che
godono dei diritti politici, il che non ha
impedito affatto all’Ulivo di vincere
nel ’96, non ha comportato l’instaurazione
di alcun regime. Se l’Ulivo
vincesse le elezioni avremmo
la seconda dimostrazione che B.,
invece di essere una anomalia e un
Caimano che fonda un regime, è un leader
democratico-liberale con un anomalo
conflitto di interessi che può e deve
essere normato con leggi come la
par condicio e con la legge sul conflitto
attualmente in vigore. Promettere che
si andrà più in là, che verrà eliminato
dalla scena, verrà distrutto nella sua
identità e soggettività il fondatore di un
partito che sta tra il venti e il trenta per
cento dei voti, uno che ha fatto due volte
il presidente del Consiglio, la seconda
volta stabilmente e continuativamente
per cinque anni, un leader non
professionale della nostra democrazia
che rappresenta, in quanto imprenditore,
un pezzo della società civile, è
promettere un mutamento illiberale di
regime. Sarebbe una legge oligarchica
mascherata da sanatoria del rischio populismo.
Vogliamo discuterne?




[3]
L'UNITA'
25 marzo 2006
L’editoriale
Il popolo del caimano
Antonio Padellaro

www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=71485&idd=1863





[4]
IL FOGLIO
25 marzo 2006
Guai ai vinti

Se il Cav. perdesse, una legge ulivista gli impedirà di rifarsi
Irrompe nella campagna elettorale un’asimmetria che liquida il principio dell’alternanza liberale

Roma. Per Massimo D’Alema questa deve essere l’ultima campagna elettorale di Silvio Berlusconi. Lo aveva annunciato in forma generica alla televisione, come già Francesco Rutelli, e lo ha precisato in un’intervista sull’ultimo numero di Panorama: se l’Unione vincerà le elezioni di aprile, modificherà la legge sul conflitto d’interessi e il Cav. sarà costretto a scegliere tra la politica e la televisione, tra la sua proprietà privata e l’aspirazione a essere rieletto in futuro alla vetta delle istituzioni, se non addirittura al Parlamento. Letteralmente D’Alema dice questo: l’attuale legge che disciplina il conflitto “è una finzione”. Dunque: così come “nessuno avrebbe da obiettare dinanzi al principio che un sindaco non possa essere proprietario dell’azienda di nettezza urbana che opera nel suo comune. Allo stesso modo, mi sembra logico che il presidente del Consiglio non possa essere proprietario di aziende di comunicazione che operano in regime di concessione dello Stato”. Al che il presidente dei Ds aggiunge: “Per chi si trova in queste condizioni, saranno previste forme di blind trust, come accade nei paesi civili. E ci saranno anni per mettersi in regola. Ma alla fine non si potrà più aggirare la norma che c’è già nel Codice civile e che Berlusconi ha aggirato con la sua candidatura, sostenendo che il concessionario è il povero Confalonieri!”. Nel merito, è interessante comprendere se l’Unione vuole davvero legiferare per rendere Berlusconi non candidabile alle cariche pubbliche. In ogni caso resta fermo il principio per il quale, da sconfitto, il Cav. si vedrebbe infliggere una restrizione dei diritti di cui gode attualmente (assieme ad altri). Perché c’è qualcuno che da una posizione di vantaggio (l’amministrazione dell’esecutivo) si batterà per limitare le possibilità che Berlusconi possa partecipare alle successive elezioni. Se pure questa prospettiva non fosse un lascito illiberale degli apocalittici che, da dieci anni e malgrado l’innegabile alternanza registrata a palazzo Chigi, urlano contro il regime berlusconiano, per lo meno avrebbe l’aspetto di un conflitto asimmetrico. E’ certo che, nel sistema politico-finanziario, un problema generale e molto italiano d’interessi confliggenti esiste e nessuno riuscirebbe a negarlo (questo giornale ha più volte invitato il Cav. a impoverirsi un poco nel conto in banca per guadagnarci in tranquillità di governo); il punto è osservare il profilo della così detta “anomalia berlusconiana”, e stabilire se la legge che s’annuncia con un eventuale centrosinistra al governo non abbia le sembianze dell’iniziativa cucita su misura. E persecutoria. Lo ha scritto ieri il vicedirettore del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, nell’editoriale in prima pagina: fra le pulsioni che animano il centrosinistra non è trascurabile la tentazione di “minacciare rappresaglie severe ai danni dello sconfitto, da colpire con provvedimenti ad personam”.

Chi decide è il voto. O no?
Si potrebbe ricordare che la verifica ultima, definitiva e insindacabile della forza e della resistenza di un’anomalia risiede nel voto democratico. Lo stesso meccanismo con il quale Berlusconi è stato costretto all’opposizione nel 1996, e che potrebbe ripetersi tra non molti giorni. Confinata già da tempo entro il perimetro della par condicio (concepita in fretta e furia dopo la vittoria della Cdl alle europee del 1999), un’anomalia come quella berlusconiana che uscisse sfiduciata dalle urne si rivelerebbe, forse, per ciò che è: non irresistibile né così eccezionale. A maggior ragione se Prodi avrà a disposizione cinque anni per riscrivere le leggi del centrodestra che, come nel caso della legge elettorale, D’Alema definisce “un atto di barbarie”. Barbarie però reversibile. Si potrebbe poi citare l’articolo 51 della Costituzione (“Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”) per richiamarsi all’impugnabilità di una norma modellata sulla biografia del Cav. Interpellato dal Foglio, Battista conferma il dubbio: “C’è un articolo della Carta che garantisce la libertà di candidarsi, ed è bene che continui a esserci. E’ chiaro che l’Unione deve stare attenta a non scrivere una legge incostituzionale”. Fermo restando che “ogni paese democratico dell’occidente ha bisogno di normare certi conflitti”, secondo Battista “invece di parlare solo del conflitto d’interessi, bisogna centrare il tema su questo interrogativo: uno come Berlusconi può continuare a fare politica oppure no?”.




[5]
Guai ai vinti

Padellaro: “Se il premier perde
è bene che scelga, o fa il politico o
torna a essere solo imprenditore”

“Quando a sinistra si
afferma che fu fatto un grande errore, durante
il governo dell’Ulivo, a non legiferare
sul conflitto d’interessi, si ricorre a una formula
ipocrita per dire: non abbiamo ritagliato
una legge che ci permettesse di estromettere
Berlusconi dalla scena politica italiana.
Come a dire che l’errore non fu nell’assenza
d’una legge necessaria – anche per
il senatore a vita Gianni Agnelli e, oggi, per
Sergio Pininfarina – ma nella possibilità di
vincere una seconda volta offerta a Berlusconi”.
Questa volta l’Unione intende adottare
lo strumento del blind trust, che significa
obbligare il politico in conflitto a rimettere
i propri affari nelle mani di un fiduciario,
rinunciando ai diritti d’intervento nella
gestione. Battista è scettico: “E’ un sistema
che si può applicare ai grandi patrimoni, ma
come si fa ad affidare a un fondo cieco una
grande struttura come Mediaset? E’ praticamente
impossibile”. E poi, visto che ci siamo,
“bisognerebbe capire come questa legge
regolerebbe i rapporti delle banche con i
partiti. Considerando le ragioni per le quali
Fassino disse l’estate scorsa: ‘Abbiamo una
banca’ e aggiunse che nessuno poteva impedire
ai Ds di fare il tifo, deduco che nell’ipotesi
in cui fosse andato in porto l’affare Unipol-
Bnl, i diessini avrebbero potuto disporre
di ministri impegnati in dicasteri economici
a legiferare su una banca riconducibile
alla propria area. Questo conta o no?”. Poco
tempo fa Battista ha anche ricordato ai
lettori del Corriere che non esiste un rapporto
virtuoso con le urne per chi governa la
tv pubblica. “Ho messo in fila dei fatti: Berlusconi
non ha più vinto un’elezione dacché
ha piazzato i suoi uomini in Rai; nel ’94 il Polo
ha vinto mentre in Rai comandava il cda
dei professori di centrosinistra; Berlusconi
ha perso nel 1996, all’epoca della presidenza
di Letizia Moratti, e l’Ulivo nel 2001 in
condizioni analoghe”.
Antonio Padellaro ha un’opinione diversa
sul futuro prefigurato da D’Alema. Ciò
che per Battista rischia di essere una forzatura
grave, per il direttore dell’Unità è “una
necessità irrinunciabile”. “Il conflitto d’interessi,
anomalia innegabile, ha danneggiato
per primo Berlusconi – spiega Padellaro
– perché lo ha reso meno credibile agli occhi
degli osservatori internazionali come l’Economist
e il Wall Street Journal. Oltretutto il
centrosinistra stavolta non può fare altrimenti,
dopo aver congelato la questione per
cinque anni nei quali ha governato. Ha la coda
di paglia, teme di essere accusato di pratiche
inciuciste”. Insomma “se il premier
dovesse rivincere il problema si riproporrebbe
identico. Se invece perderà, sarà bene
che scelga: o fa il politico integrale come
un caudillo; oppure torna a essere solo imprenditore,
con risorse che si sono moltiplicate
negli ultimi anni”.

INES TABUSSO