LUCY IN THE PIAZZA WITH CATHOLICS

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INES TABUSSO
00martedì 15 maggio 2007 15:32



LA STAMPA
26/3/2007
Perché andrò al family-day
LUCIA ANNUNZIATA

Andrò al Family Day. Decisione individuale e privata di un elettore qualunque dell’Ulivo. Ma se persino nel più «laico» dei partiti della coalizione di governo, quale i Ds, ci sono segnali di una riflessione in merito, forse è tempo che una serie di scelte individuali vengano dichiarate.

Le ragioni per andare al Family Day, anche per un cittadino che appoggia i Dico, anche al fianco delle organizzazioni cattoliche più conservatrici, sono, a mio parere, scritte nel Dna stesso della sinistra.

1) Nella storia del movimento operaio, la famiglia è sempre stata un punto fermo della propria identità sociale; l’istituzione a cui, nell’esperienza concreta delle classi popolari, si è ancorata la solidarietà più generale, formata a immagine e somiglianza proprio delle relazioni solidali che la famiglia offre. Il movimento operaio e i suoi dirigenti hanno sempre abbracciato (fino al moralismo) un sistema di vita personale e familiare di massima austerità, indicando in questa scelta una intera scala di valori che si opponeva orgogliosamente alla «libertà» con cui il mondo borghese viveva i suoi legami familiari. In Italia la famiglia operaia è stata così elemento propulsore nella creazione della società opulenta di oggi: dagli anni dell’immigrazione ai sacrifici per le scuole ai figli, ai sacrifici per comprare casa, è nell'ambito familiare che le classi più povere hanno trovato il parametro per speranze e riscatto. Infine, dentro la famiglia come luogo innovativo per nuove parità e nuove libertà è passata anche (in negativo e in positivo), più di recente, tutta l’ambizione a nuove relazioni umane. I figli omosessuali, o quelli che non vogliono più il matrimonio tradizionale, i ribelli e i single, l’Italia tutta che vuole i Dico, insomma, esce da questa esperienza familiare consolidata: e nella vita reale è nell’ambito delle famiglie che le irregolarità trovano spesso soluzione. Ancora oggi il popolo della sinistra rivendica così l’orgoglio di scelte familiari etiche - nel rispetto della propria tradizione. La famiglia non è affatto un valore soltanto cattolico.

2) Le ragioni della cronaca e della politica stanno modificando l'immagine della sinistra. Un trans è entrato in Parlamento; la foga della battaglia con la Chiesa ha spostato i Dico su toni di estremismo omosessuale; e la stessa foga di difesa politica ha portato la sinistra ad affrontare il caso Vallettopoli e Sircana rifugiandosi in una sorta di indifferenza di giudizio - con quella frase ripetuta «nel privato ognuno fa quello che vuole». Ma davvero è così? Davvero non ci sono limiti se non quelli dei bigotti alle scelte delle persone? È davvero perfettamente indifferente cosa si fa nel privato - indifferente, ad esempio, nella nostra difesa della dignità delle donne, nel rifiuto dello sfruttamento (sessuale oltre che materiale?); indifferente nella educazione dei figli, nella delineazione di una società diversa? Il rischio insomma è che la sinistra finisca schiacciata oggi, al di là della sua volontà, nel ghetto di una somma di differenze indifferenti. Dire un sì deciso all’idea di famiglia serve anche a strapparsi da questo possibile ghetto.

3) La sinistra è oggi al governo - deve dunque continuare a raccogliere consenso per continuare i suoi progetti. Rompere con la Chiesa, e ancora di più con le organizzazioni cattoliche, è un calcolo che non ha senso neppure dal punto di vista - minimo ma necessario - dei numeri. A chi giova dunque, ed ecco la terza ragione per sfilare nel Family Day, spaccare il dialogo sociale?

È una ragione forse eccessivamente tattica, ma anche squisitamente politica. Perché ripropone al governo di centrosinistra un dilemma decisivo: se cioè nel governare un Paese conti più la battaglia di identità o la costruzione di coesione sociale. La risposta data a questa domanda è stata finora a favore delle identità: la legge sui Dico è diventata infatti infinitamente più rilevante di quello che è nella realtà del Paese per il suo significato simbolico. Ma ai fini del bene pubblico, non è forse più rilevante la possibilità di costruire intorno a un principio una identità condivisa, magari costruita nel tempo, ma decisamente più ampia? Recenti sondaggi sul calo di popolarità del governo sostengono che i Dico vi giocano un grande ruolo: non è questo forse un monito?




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LA STAMPA
14/5/2007
Sinistra ascolta S. Giovanni
LUCIA ANNUNZIATA

Vabbè, capisco. Un milione di persone cosa volete che sia? Per altro non è nemmeno sicuro che siano state davvero un milione, perché si sa che in questi casi gli organizzatori esagerano. Così come si sa che quando ci sono le parrocchie di mezzo la folla si fa subito, e infatti che tipo di folla era, alla fine? Brutti, brutti, brutti persino peggio di quelli di Cl che almeno hanno l’estetica giusta, visto che sono espressione del Nord. Poi, se non bastasse, non avete guardato le tendenze demografiche, non avete forse visto che i dati ci danno ragione, in Italia, e anche in America, aumentano le famiglie senza matrimonio, e i figli fuori dal matrimonio? Mi arrendo, dunque, alla valanga di rassicurazioni che i pensatori, i leaders (e un po’ di basso cicaleccio) della sinistra, oggi tutta in versione «esperta di Vangelo», mi dicono per aiutarmi a dimenticare presto la giornata del Family Day. Nulla è successo, tutto è come prima.

Personalmente, i Vangeli non li sfoglio con frequenza, ma qualche conto con le mani, senza scomodare un pallottoliere, credo di saperlo ancora fare: e secondo questi conti, in un Paese in cui la coalizione al governo ha vinto per ventimila voti, c’è un’alta possibilità che quei ventimila voti fossero domenica in quella piazza. Se si aggiunge che la manifestazione è stata organizzata da Savino Pezzotta, uomo non esattamente sconosciuto alla sinistra, e da Luigi Bobba, senatore a pieno titolo del nuovo Pd, i dubbi sulla presenza di quei ventimila voti si fanno quasi certezza. Era davvero scontato, ed è oggi davvero indifferente, che quella piazza non sia stata parte delle mobilitazioni del centrosinistra? Sullo scontato non possiamo pronunciarci, visto che con i se non si va da nessuna parte; quanto all’efficacia basta guardarsi intorno.

I coraggiosi della laicità a Piazza Navona hanno messo su una bella festa, ma con lo sguardo rivolto indietro, rivelando di quanta nostalgia siano intessute le loro aspirazioni di oggi. La lontana equidistanza in cui si sono rifugiati i Ds ha negato quella che è, ancora oggi, la loro migliore qualità: la forza di stare in mezzo alle cose. Più che in ascolto sono apparsi così in imbarazzo. Ma il vero disastro ha attraversato come una lama i cattolici del futuro Partito Democratico: con Acli, Sant’Egidio, sindacato in piazza, e Bindi (e simili) a tentare freneticamente di lanciare un ponte qualunque con quella stessa piazza: chi pensa che una conferenza nazionale sulla famiglia sia una ottima risposta a tanti cattolici in piazza alzi la mano.

Del resto, dicono i commentatori, spaccare, infilare questo paletto nel cuore della unità dei cattolici del futuro Partito Democratico era proprio lo scopo di questa manifestazione. Se questo era l’obiettivo di Pezzotta, dei focolarini, e della Chiesa abbiamo solo da congratularci con loro: l’obiettivo è stato raggiunto. La domanda rimane: com’è possibile che gli italiani che vogliono difendere la famiglia - obiettivo in sé non così disprezzabile (dopotutto non si trattava di svastiche o croci uncinate) - partiti con Savino Pezzotta siano arrivati poi sotto il cappello di Silvio Berlusconi. Ed è una domanda cui la sinistra ancora non ha dato risposta. Sostenere infatti che questo sia il risultato di una enorme pressione della Chiesa, o di una abilità tattica della destra, non è credibile. La Chiesa era molto più forte e attiva nel lontano 1974, eppure il referendum vinse. E il centrodestra appare oggi più confuso e diviso del centrosinistra: persino in piazza San Giovanni domenica i suoi leader sono riusciti a litigare.

Invece di guardare indietro alla gloriosa data del referendum sull’aborto, il pensiero del centrosinistra avrebbe dovuto forse rivolgersi a un altro referendum, quello sulla procreazione assistita, perso drammaticamente pochi anni fa. Dopo quella sconfitta la sinistra avviò una riflessione sul proprio stesso voto, che aveva rifiutato quella scelta. Si disse, allora, che evidentemente stava crescendo nella popolazione italiana una ricerca intorno all’etica pubblica e privata dai profili diversi, in cui si coniugava il desiderio di cambiamento a un bisogno di certezze. Famiglia, Stato, cittadinanza, sicurezza sono del resto in tutta Europa (nelle analisi dello stesso centrosinistra) il grumo intorno a cui si desidera trovare quella solidità che serve ad affrontare tutto un mondo in rapida evoluzione: aperto dalla rottura delle frontiere dell’economia, della scienza e delle nazioni. Riflessioni che sono state riproposte recentemente anche dalle trasformazioni in corso in grandi Paesi guida come l’Inghilterra, e poi la Francia. Nazioni in cui nuove domande economiche e spirituali hanno - secondo l’opinione di tutti - provocato la fine dell’idea tradizionale di destra e sinistra.

Dunque, perché non riconoscere che sui temi della famiglia, dei diritti, della sicurezza, è al lavoro anche in Italia questa talpa che lentamente cambia la coscienza pubblica, inclusa quella di sinistra? Si è preferito invece dare vita a una vecchia competizione fra laici e cattolici, in cui, se di questo si tratta, si è finito con il dare la vittoria alle forze più conservatrici.

Certo, i principi sono importanti, e la politica è innanzitutto difesa di principi: non si può ammainare la bandiera della laicità. Ma se questi principi non si è capaci di trasformarli in provvedimenti reali, perché mancano i numeri nello stesso governo, perché c’è dissenso nella stessa base delle forze politiche che li propongono, perché c’è divisione nel Paese, bisognerà almeno dirsi che questa politica è inefficace? Se di recente c’è stato caso più perfetto di errata gestione di un percorso politico, certo io non lo ricordo.




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IL MANIFESTO
28 settembre 2005
"PIERO IL PIO"
di Ida Dominijanni

Ruini non c'entra, sono stati i gesuiti a rafforzare la fede religiosa di
Piero Fassino allevandoselo per nove anni in quel di Torino. La politica
non c'entra, «la fede è un fatto personale e privato», per questo il segretario
dei Ds non ne ha mai fatto professione pubblica, «perché sarebbe del tutto
inopportuno e improprio». Però è alla radio, pubblica, che ora Fassino si
confessa, rispondendo su fede e Pacs a Barbara Palombelli e avanzando l'idea
che si possa fare «una equilibrata e giusta legge sulle coppie di fatto senza
mettere in discussione la famiglia». I rutelliani Ccs al posto dei Pacs?
E perché no, così anche le coppie di fatto resterebbero un problema privato
senza rilevanza pubblica, come la fede di Fassino. I riti sono importanti
per la politica laica né più né meno che per la religione. Periodicamente,
i leader del principale partito della sinistra officiano messa variamente:
vanno in visita dal papa con moglie e figli, dichiarano a Famiglia cristiana
che la legge sull'aborto andrebbe un po' ritoccata, si rivelano credenti
all'ora giusta. C'era una volta il dialogo fra comunisti e cattolici, ricorda
sulla Stampa di ieri Pietro Ingrao, e c'è ancora, in posti seri come i seminari
dai camaldolesi di Monte Giove dove si spacca il capello in quattro sulla
politica della trascendenza e la trascendenza della politica. Troppa fatica:
la genuflessione, l'ammiccamento, la conversione sono riti abbreviati che
servono meglio alla bisogna. Che di questi tempi non è il dialogo con i cattolici,
ma la rincorsa centrista al voto dei cattolici.

Il voto dei cattolici è in libera uscita nel mercatino politico bipolare
dopo la fine dell'unità politica dei medesimi, che diversamente da quanto
pensa Fassino aumenta, non diminuisce, l'influenza del Vaticano sull'elettorato,
o almeno il suo protagonismo invadente. Monsignor Ruini impazza da mesi sulla
scena politica italiana, ma Fassino, come pure Lucia Annunziata sempre sulla
Stampa (di Torino), sostiene che è «infondato» parlare di ingerenza, perché
è normale che la Cei abbia il suo punto di vista su questioni importanti
come i Pacs. E certo che è normale. Ma non è normale che detti legge in materia
di partecipazione al voto, come nel caso del referendum sulla procreazione
assistita, e che esprima giudizi di costituzionalità delle leggi, come nel
caso dei Pacs. In un paese normale, quello di dalemiana memoria, l'intero
arco costituzionale, ammesso che ce ne sia ancora uno, si ribellerebbe a
questa invasione di campo. In Italia invece il presidente emerito della Repubblica
Francesco Cossiga ricorda a Romano Prodi i suoi «doveri» verso «la Chiesa
d'Italia», dimenticandosi che la pur timida riforma del Concordato di vent'anni
fa ha cassato dall'ordinamento la religione di Stato.

Una buona legge sulle coppie di fatto non si può fare senza mettere in discussione
l'idea monolitica e preistorica di famiglia che la morale cattolica ci vuole
imporre con la connivenza del perbenismo politico di destra, di centro e
di sinistra. Piero Fassino farebbe bene a prenderne atto, come avrebbe fatto
bene a prendere atto che sulla fecondazione artificiale non si poteva vincere
senza nominare la libertà procreativa. Ci sono questioni di civiltà che non
si possono affrontare con la strategia della riduzione del danno, senza mai
alzare il tiro sui valori di fondo e lasciandone il monopolio alla Chiesa.
La libertà, in democrazia, è uno di questi valori di fondo, e prima la sinistra
ricomincia a pronunciare questa parola obsoleta e tradita, prima la sdogana
dal lessico di Ruini, Berlusconi, Fini e Marcello Pera. Fra gli altri fattori
che influenzano il voto, il leader Ds cominci a valutare anche il senso di
asfissia che prende donne e uomini di questo paese a sentir parlare della
famiglia come di una gabbia certificata e santificata, e di democrazia come
di un vaniloquente dialogo senza punti e senza differenze. Quando fischiare
un cardinale è considerato pericoloso e permale più o meno quanto gettare
una bomba, un paese normale e perbene deve cominciare a chiedersi se non
sia diventato un paese stupido.





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