Guarda Mac, anche se forse non è questa la stanza per discutere sulla definizione del noir, per non scomodare il nostro Raul ti riporto un'intervista congiunta che ha rilasciato insieme ad altri autori proprio relativa a questo argomento.
Insieme a Raul hanno risposto anche i seguenti scrittori : SANDRONE DAZIERI, JACOPO DE MICHELIS, GIANNI BIONDILLO, ENZO FILENO CARABBA, GIANCARLO DE CATALDO, ANTONELLA CILENTO.
Io ti riporto le domande e le sole risposte di Raul, nella seconda troverai la sua definizione di "noir"
1. Non vi sembra che ci sia da parte della critica una fretta eccessiva, ultimamente, di etichettare come "Noir" qualsiasi libro di uno scrittore italiano contemporaneo contenga un delitto o un fatto di sangue? Se si potesse far così, non sarebbero romanzi Noir anche Lo Straniero di Camus e Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald...
R : O l'Edipo Re, o l'Asino d'oro... La critica ha sempre fretta di etichettare, perché una certa dose di riduzionismo fa parte del suo lavoro. Non è strano. Devo dire che forse la definizione più esatta del genere di cui stiamo parlando è quella che danno i tedeschi. Loro non parlano di noir (un termine che cerca di definire un'atmosfera, morale o ambientale), o di giallo (sappiamo la storia curiosa di questa parola, che è semplicemente un traslato da un elemento di riconoscibilità commerciale a un genere letterario) o di poliziesco (e quando la polizia non c'è?) o ancora di thriller (ci sono molti libri e film di questo genere che, deliberatamente, non danno nessun brivido). Le chiamano semplicemente "Krimi", storie criminali. In altre parole: il detective può anche non esserci, ma il crimine deve proprio starci.
2. Pensate che nel bel mezzo della postmodernità, dove i "generi" letterari si mescolano, s'incrociano e si sovrappongono nell'ambito dello stesso libro si pensi a un romanzo come Q dei Luther Blissett, definito di volta in volta "Western teologico", "ibrido tra Noir, Spy Story e Romanzo Storico"), il "genere" Noir abbia ancora delle regole definite: e se sì, quali?
R : Anzitutto deve contenere un'azione criminale, cosa che lo accomuna al giallo. La differenza però è chiara:
GIALLO:
In perfetta simultaneità, Conan Doyle e Freud (entrambi medici!) plasmano la grande utopia positivista, la rivincita del cervello sul cuore e sulle viscere. Giallo e psicanalisi descrivono un iter identico:
- Presupposto: nel mondo esiste un ordine, e la ragione umana è fatta apposta per riconoscerlo e comunicarlo.
- Il caso (poliziesco o clinico): rottura dell'ordine attraverso un trauma (omicidio, furto, infrazione di un tabù sessuale...).
- Gli elementi: ancora una volta testimonianze e indizi (la deposizione di un teste o la cenere della sigaretta per l'investigatore; i racconti del paziente, i suoi sogni, i suoi lapsus per lo psicanalista).
- Procedimento: ragionando su dati apparentemente insignificanti, investigatore e psicanalista ricostruiscono la scena del trauma iniziale, individuano il colpevole, ripristinano l'ordine. L'armonia fra uomo e mondo è salva.
NOIR:
- Presuppone non l'ordine ma il disordine del mondo. Il mondo è caos, incrocio di linguaggi e magma di regole contraddittorie.
- All'interno di questo caos, il criminale (spesso il vero protagonista della narrazione, che può assumere il suo stesso punto di vista) cerca di imporre un ordine parziale, ossia elabora un piano: uccidere un uomo, compiere una rapina, ecc.
- Di norma, questo piano è destinato al fallimento.
Il collasso finale del criminale diventa metafora della nostra esistenza, del nostro tentativo continuo e frustrato di controllare una realtà sfuggente. La simpatia che proviamo per i grandi vilain dei noir è certamente lo sfogo proiettivo delle nostre pulsioni violente (loro uccidono per conto nostro) o dell'aspirazione a infrangere i limiti in cui sentiamo rinchiusa la nostra vita (la grande rapina alla banca nasce dallo stesso desiderio di un brusco salto di qualità che esprimiamo giocando al Totocalcio), ma sorge anche da una identificazione fra perdenti, dal riconoscimento che il loro scacco è anche il nostro. Personalmente sono convinto che questo sia il motivo per cui sempre più spesso, ultimamente, compaiono narrazioni noir nelle quali il cattivo non viene affatto punito, non fallisce. Il nostro anelito all'evasione da una realtà asfittica trova allora uno sfogo compiuto, coerente fino in fondo, e in particolare il serial killer si propone come l'eroe nero di fine millennio e oltre. L'autocensura, che provocherebbe in noi un ovvio senso di colpa se fossimo invitati a una identificazione diretta con un brutale assassino, viene elusa intelligentemente nel Silenzio degli innocenti, con uno sdoppiamento della figura del criminale: se l'incolto e sgraziato Buffalo Bill merita di essere castigato - e troveremmo immorale che un simile animale la facesse franca - il raffinato, enigmatico dottor Lecter, l'antropofago umanista, può trionfare senza che la cosa ci dispiaccia o ci spaventi. Un passo avanti fanno Seven (il cattivo vince, ma a prezzo dell'autodistruzione: troppo facile così! E' il cattivo come kamikaze, barano al gioco entrambi perché non muovono da quella paura della morte che dovrebbe stare alla base di un agire motivato e autoconservativo) e soprattutto I soliti sospetti (qui il cattivo vince, punto e basta).
3. Perchè quegli stessi critici almeno (militanti, accademici, e via discorrendo) che consideravano il Noir (e più o meno tutta la "letteratura di genere") come un prodotto di serie B, ne sono improvvisamente divenuti gli apologeti?
R : Erano gli stessi? Siete sicuri? Non ho abbastanza informazioni su questo. Di certo a blandire qualunque forma espressiva "pop" (a volte pure trash) si vince sempre. Perché il pubblico ti viene dietro ora, spernacchiando i puristi e gli apologeti dei valori estetici, e perché inevitabilmente, dopo un po' di tempo, ci saranno le "riscoperte" e fior di critici (magari di un'altra generazione) diranno viva Simenon, viva James Bond, viva Alvaro Vitali. Con le dovute differenze, è ovvio.
4. Esiste, secondo voi, un caposaldo del genere Noir internazionale, un libro da leggere assolutamente? E un romanzo Noir italiano contemporaneo per cui valga la stessa regola?
R : Vado un pochino controcorrente rispetto alla domanda. In tutta l'opera di Edgar Allan Poe c'è la fondazione sia del giallo sia del noir. Quanto agli autori italiani, consiglio un bellissimo noir del 1888: Il cappello del prete, di Emilio De Marchi. Giuro che c'è tutto! Anzi, manca una cosa che a questi due autori non si poteva proprio chiedere: la preveggenza che un giorno il genere si sarebbe sviluppato indebolendo al massimo la figura del detective. Dai bizzarri superuomini di Poe e Conan Doyle si è passati a un investigatore ideale che, auspicabilmente, dovrebbe essere storpio, monco, mutilo, magari ridotto a un ammasso organico indifeso e inidentificabile, meglio ancora se nato in condizioni disastrose e attualmente residente al Cottolengo o tenuto in vita artificialmente dentro un'ampolla di liquido amniotico, violentato dal padre e dalla madre all'età di due settimane, semirimbecillito, diseredato, tifoso dell'Inter, che comunica col mondo premendo un'escrescenza carnosa sull'unico tasto di un computer a pezzi (un vecchio Commodore, magari), e che ciò nonostante riesce a risolvere il caso!
5. Ha scritto Tiziano Scarpa: "Il giallo, il noir è commercialmente al potere, è il genere letterario che vende, che funziona più di tutti. Perché vergognarsene? Perché vi nascondete dietro un dito? Accettate serenamente questo fatto. Sappiate assumervi le responsabilità di essere arrivati al potere. Scrivendo di morti e ammazzamenti e investigatori e brividi si piglia più pubblico." Come commentereste questa affermazione?
R : Ha ragione. Andrebbe aggiunta al quadro anche la narrativuccia pseudosentimentale. Quella è proprio inaffondabile.
Chi volesse leggere l'intervista completa, comprensiva delle risposte degli scrittori sopracitati, la può trovare QUI